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Concerto

Ludovico van: Beethoven raccontato attraverso i quartetti per archi

Quartetto Noûs in concerto

4 Febbraio 2023 – 17:00

Auditorium del Conservatorio

Programma

Dmitrij Dmitrievič Šostakovič (1906-1975)

Quartetto per archi n. 3 in Fa maggiore op. 73

Allegretto, Moderato con moto, Allegro non troppo, Adagio, Moderato

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Ludwig van Beethoven (1770-1827)

Quartetto per archi n. 13 in Si♭ maggiore op. 130

Adagio ma non troppo. Allegro
Presto
Poco scherzoso. Andante con moto ma non troppo
Alla Danza tedesca. Allegro assai
Cavatina. Adagio molto espressivo
Finale. Allegro

Tiziano Baviera, violino I
Alberto Franchin, violino II
Sara Dambruoso, viola
Tommaso Tesini, violoncello

La stagione del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Como “unannoinmusica23” prosegue con Quartetto Noûs in concerto il 4 febbraio alle ore 17:00 presso l’Auditorium del Conservatorio di Como.

Nei giorni antecedenti il Conservatorio ha ospitato una Masterclass tenuta dal Quartetto durante la quale gli studenti hanno avuto l’opportunità di conoscere uno spaccato di vita dell’ensemble, approfondendo metodologie di studio e possibilità di lettura del testo musicale

Quartetto Noûs in concerto si inserisce nel progetto triennale ideato dal Maestro Elena Ponzoni dal titolo “Ludovico van: Beethoven raccontato attraverso i quartetti per archi” che ha l’obiettivo di disegnare, attraverso lo studio dei suoi 17 quartetti per archi, un ritratto umano ed artistico di Beethoven.

Ambizione ultima del progetto è la realizzazione integrale della produzione quartettistica beethoveniana con gli studenti, costruita attraverso un percorso in più tappe, ciascuna delle quali ha il compito di fare luce su specifici aspetti attinenti sia la parte prettamente tecnico-strumentale, sia la parte della sintassi e dell’uso semantico del gesto musicale, esaminato anche attraverso la comparazione con la scrittura di altri autori e le correlazioni con il contesto storico-culturale.

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Quartetto Noûs

Noûs (nùs) è un antico termine greco il cui significato è mente e dunque razionalità, ma anche ispirazione e capacità creativa. Il Quartetto Noûs, formatosi nel 2011, si è affermato in poco tempo come una delle realtà musicali più interessanti della sua generazione. Le sue coinvolgenti interpretazioni sono frutto di un percorso formativo nel quale la tradizione italiana si fonde con le più importanti scuole europee. Ha frequentato l’Accademia “Walter Stauffer” di Cremona nella classe del Quartetto di Cremona, la Musik Akademie di Basilea studiando con Rainer Schmidt (Hagen Quartett), l’Escuela Superior de Música “Reina Sofia” di Madrid e l’Accademia Musicale Chigiana di Siena con Günter Pichler (Alban Berg Quartett) e la Musikhochschule di Lubecca con Heime Müller (Artemis Quartett). 

La versatilità e l’originalità interpretativa dell’ensemble si manifestano in tutto il repertorio quartettistico e l’attenzione ai nuovi linguaggi compositivi 

lo spingono a cimentarsi in performance innovative come suonare a memoria e totalmente al buio. Diverse le collaborazioni con compositori 

contemporanei e le partecipazioni a progetti trasversali con compagnie teatrali e di danza. 

Nel 2015 si aggiudica il Premio “Piero Farulli”, assegnato alla migliore formazione cameristica emergente nell’anno in corso, nell’ambito del XXXIV Premio “Franco Abbia.”, il più prestigioso riconoscimento della critica musicale italiana. Riceve inoltre dal Teatro La Fenice di Venezia il Premio “Arthur Rubinstein – Una Vita nella Musica” 2015. Collabora con rinomati artisti fra i quali Tommaso Lonquich, Andrea Lucchesini, Alain Meunier, Giovanni Scaglione, Sonig Tchakerian, Boris Petrushansky, Bruno Canino, Alessandro Taverna, Gloria Campaner, Enrico Bronzi. Collabora con l’etichetta Warner Classics con cui pubblica nel 2019 un disco contenente capolavori di Puccini, Boccherini, Verdi e Respighi. Nel 2020 realizza per Brilliant Classics un progetto discografico interamente dedicato ai quartetti della compositrice italiana Silvia Colasanti. Nel 2021 per la medesima etichetta discografica inizia l’incisione dell’integrale dei quartetti di Shostakovich.

Note di sala, a cura del M.o Elena Ponzoni

I quindici quartetti per archi scritti da Dmítrij Šostakóvič rappresentano una imponente rarità tra i cataloghi d’opera dei compositori posteriori a Beethoven. In epoca moderna solo Heitor Villa-Lobos mise mano a diciassette composizioni per questo organico e forse non è un caso che proprio due autori di tradizione non austro-tedesca, abbiano dedicato una lunga parte della propria carriera artistica a un genere che il maestro di Bonn aveva scandagliato in modo così profondo da avere prodotto opere – gli ultimi quartetti – considerate ancora oggi visionarie ed enigmatiche. E inarrivabili. Un lascito pesante con cui confrontarsi, un’eredità che ha però sempre esercitato un enorme fascino sui musicisti.
Non fa eccezione il grande compositore russo: sperimentazione formale; utilizzo materico del suono; funzione strutturale del ritmo; elaborazione quasi minimalista di piccole cellule tematiche; ricorrenza di “motivi” – spesso legati alla crittografia musicale del proprio nome (come usava Bach, peraltro in questo modo più volte citato da Beethoven proprio in composizioni per quartetto) –; sovrapposizioni di stili e di linguaggi. Sono tutti elementi che S. deriva dalla lezione beethoveniana, spesso dichiarata attraverso dediche esplicite o nascoste tra le pieghe di una scrittura raffinata e personalissima. Talento precoce, S. è riuscito a creare una propria cifra stilistica immediatamente riconoscibile, in cui la grande tradizione viennese – Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert – e quella di scuola russa, l’esperienza malehriana e il mondo della musica klezmer, la sperimentazione di nuove tecniche adottate dalla moderna musica occidentale, sono rilette e filtrate attraverso il proprio sguardo e una sensibilità acuta. Il risultato è un linguaggio dal fortissimo impatto emotivo.

Il quartetto op.130 di Beethoven e quello op.73 di Šostakóvič hanno in comune una articolazione non canonica – sei movimenti per il primo, cinque per il secondo in luogo dei quattro usuali – e, in misura particolarmente consistente nel primo movimento, grande ricchezza contrappuntistica. In entrambi il materiale musicale di partenza è scarno, essenziale, basato su poche note la cui relazione evidenzia la distanza intervallare minima – il semitono – , cellula germinale da cui muovono elaborazioni continue che ne mutano aspetto e significato e che ne costituiscono il collante interno. Fondamentale è il ruolo del ritmo, che soprattutto in S. si cristallizza in figure ricorrenti, cariche di significato simbolico.

Accostare in un unico programma due composizioni di epoche tra loro lontane è un interessante esercizio: facile immaginarne le differenze, forse meno immediato riconoscerne le parentele.
Certamente sorprendente scoprire all’ascolto quanto il quartetto di Beethoven suoni non meno moderno e persino audace nell’estrema libertà inventiva.

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Dipartimento di Musicologia e Beni culturali dell’Università degli Studi di Pavia
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