In Eventi passati

Concerto

Musiche nell’Universo – Orchestra di Fiati del Conservatorio di Como

mercoledì 7 maggio 2025 – ore 20:30

Teatro Sociale di Como

Biglietti


Programma

Gustav Holst (1874 – 1934)Mars, Venus, Jupiter arr. Merlin Patterson

Burapha Andrea Pedrolini (2001) Via Stellaris 

Andrea Bagnolo (1978) L’albero della Luna

Michael Giacchino (1967), Alexander Courage (1919- 2008) and Gene Roddenberry (1921–1991)Star Trek Suite

Hoagy Carmichael (1899-1981)Star Dust    arr. Massimo Colombo 

Henry Mancini (1924 –1994) Moon River  arr. Michele Mangani  

Bart Howard (1915 –2004) – Fly to the Moon arr. Andrea Bagnolo             

Van Morrison (1945)Moon Dance   arr. Andrea Bagnolo          

Bis Joe Zawinul (1932-2007) Birdland  arr. Massimo Colombo 

 

Direttori: 

   Pierangelo Gelmini e Fulvio Clementi 

Coordinatore OFCC:

   Liborio Guarneri

Presentazione di:

   Barbara M. Romano

Voci:

   Denise Cambiaghi e Sofia Volante

Produzione:

   Conservatorio G. Verdi di Como 


I Pianeti e il loro moto armonioso nell’universo sono il tema del concerto di quest’anno della OFCC – Orchestra di Fiati del Conservatorio di Como che si terrà il prossimo 7 maggio.

L’Orchestra, diretta da Pierangelo Gelmini e Fulvio Clementi, porterà sul palco del Teatro Sociale un viaggio all’insegna dell’immaginazione e dei sogni declinato in diversi generi dalla musica classica alle colonne sonore dei film fino al jazz. La compagine interpreterà anche Stellantis di Burapha Andrea Pedrolini, studente di composizione del Biennio con il M.o Pasquale Corrado.

L’Orchestra del Conservatorio desidera portare ciascuno spettatore per mano in un viaggio oltre i confini terrestri per contemplare la maestosità delle sfere celesti.

I pianeti hanno colpito l’immaginazione fin dai tempi remoti: migliaia di anni fa Pitagora teorizzò la “musica delle sfere”: i suoni armoniosi prodotti dal movimento incessante dei pianeti. Nel medioevo questa teoria fu alla base della visione della musica come espressione dell’ordine cosmico divino.

Anche ai giorni nostri i pianeti hanno un grande fascino sulla produzione artistica e possono  ispirare la ricomposizione della tela dei tessuti relazionali sia personali che di ordine politico mondiale. Il moto armonioso dei pianeti, il loro infinito e sempre uguale disegno sulla tela del cielo è una meraviglia studiata e ammirata dall’uomo che solo guardando oltre alla sua piccola finitezza può aspirare a divenire  la versione migliore di se stesso.

Questa produzione coinvolge più di 80 studenti di diversi dipartimenti del Conservatorio: primo fra tutti il Dipartimento di Strumenti a Fiato, poi quelli di Canto, Archi, Percussioni e Jazz, Composizione oltre al Biennio di Comunicazione, Analisi e Critica Musicale. Sono state inoltre coinvolte diverse realtà territoriali: il Liceo Teresa Ciceri di Como, il Liceo Pina Bausch di Busto Arsizio.

Incontro

Aspettando il concerto della OFCC: Musiche nell’universo

Ospiti: Burapha Andrea Pedrolini, Massimo Colombo e i direttori d’orchestra Pierangelo Gelmini e Fulvio Clementi

24 aprile 2025 ore 12:00 presso il Salone dell’Organo del Conservatorio di Como


Note di Sala

A cura di B. M. Romano

The planets, op. 32, Suite per grande orchestra in sette movimenti, ognuno dei quali dedicato a sette pianeti del Sistema Solare – Marte, Venere, Mercurio, Giove, Saturno, Urano, Nettuno – resta a tutt’oggi l’opera più amata del compositore britannico di origine svedese Gustav Holst (1874-1934). Quando nel 1914, all’età di quasi quarant’anni, ne inizia la stesura, ha già firmato non meno di 166 composizioni originali che il grande pubblico ignora. Figura di raffinato intellettuale, cresciuto in un ambiente famigliare colto e all’avanguardia, nel corso di un ventennio tra il 1895 e il 1914 – in quello che gli studiosi definiscono Sanskrit Period – Holst matura una profonda conoscenza della cultura orientale e in particolare del patrimonio letterario in sanscrito e del misticismo indiano. Alle filosofie orientali si uniscono l’interesse per la teosofia, in gran voga nel primo Novecento, e la cultura araba. L’amicizia con Ralph Vaughan Williams, compagno al Royal College di Londra, lo introduce al folklore inglese medievale e ai madrigalisti del primo Seicento come Byrd e Purcell. Ma è soprattutto l’astrologia la materia che per tutta la vita appassionerà il compositore, venutone a conoscenza attraverso l’amico scrittore Clifford Bax durante una vacanza a Majorca nel 1913. L’idea di comporre una suite orchestrale dedicata ai pianeti si innesta su questo ordito, alimentato dal crescente interesse per gli oroscopi e dalla lettura dell’astrologo Alan Leo. La gestazione di The planets è lunga e complessa, tanto che il compositore la paragona a una “creatura nel grembo materno”. Nel 1916 Holst completa una prima versione per due pianoforti grazie all’aiuto delle colleghe della St. Paul’s Girls School, dove insegna. Poiché la neurite gli provoca forti dolori, soprattutto alla mano destra, sono infatti Helen Bidder, Nora Day, Jane Joseph e Vally Lasker a copiare per lui sotto dettatura, meritando l’affettuoso appellativo di “scribe”. Una fortunosa versione della suite in sette movimenti, testimone di diverse grafie, avrà luogo in forma privata il 29 settembre 1918 alla Queen’s Hall di Londra sotto la guida di Adrian Boult. Ma a dare immediata popolarità al compositore sarà la prima esecuzione pubblica dell’opera, il 15 novembre 1920 con la London Symphony Orchestra diretta da Albert Coates. Grazie alla nuova fama anche le produzioni precedenti usciranno dall’anonimato. Tra le fonti della suite i critici riconoscono le orme dei maestri. Il grande organico ricorda il gigantismo sinfonico di Mahler e Bruckner; l’orchestrazione con la sua straordinaria palette timbrica e la varietà di stili ricalca Schönberg (Cinque pezzi per orchestra op. 16), Stravinskij (La sagra della primavera), Debussy. Ogni movimento porta nel titolo il nome del pianeta e il suo carattere astrologico. Così Marte, primo della raccolta, è il portatore della guerra ispirato al dio mitologico della narrazione (Mars, bringer of war); il ritmo marziale dell’Allegro in 5/4, poi in 5/2 e in ¾,  e le forti dissonanze ne esaltano la personalità bellicosa e implacabile. In netto contrasto Venere, portatrice di pace (Venus, bringer of peace), è connotata dal carattere incantato ed evocativo dell’Adagio; le sonorità impressionistiche del brano suggeriscono la luminosità del pianeta che la dea dell’amore sembra incarnare. L’allegra vitalità di Giove, portatore di gioia (Jupiter, bringer of jollity), quarto movimento della suite dedicato al pianeta più grande del sistema solare, si alterna al carattere solenne del tema nella sezione centrale del brano, sorta di corale in Mi bemolle maggiore. Da quella melodia il compositore ricaverà un inno, composto su una poesia di Sir Cecil Spring-Rice, “I vow to thee, my country”, poi divenuto popolare inno patriottico in Inghilterra.

The Planets ha avuto ampio successo anche nel cinema. Non sono pochi i registi che si sono ispirati ai brani della suite per le colonne sonore dei loro film. Marte in particolare fu usata da George Lucas e John Williams come materiale di lavorazione per Guerre Stellari. Nettuno ispirò The Abyss di Alan Silvestri e Titanic di James Horner. Echi di Saturno risuonano ne La donna che visse due volte di Bernard Hermann.

Via Stellaris è una composizione originale per banda sinfonica di Burapha Andrea Pedrolini (2001), allievo di composizione del Conservatorio di Como. Sin dall’incipit – il compositore indica “Adagio cupo e pesante” – l’opera ci immerge nell’atmosfera cupa e misteriosa dello spazio per poi aprirsi a maestose sonorità. Per tutto il brano il carattere solenne ed eroico della melodia ci accompagna verso la via stellare che dà il titolo all’opera. Un ritmo sfrenato, poi un altro più quieto, una fanfara di ottoni come variazione, poi un’altra più pacata dei legni accompagnano la melodia. Tutto si conclude con un secondo tema che nasce dai frammenti della prima melodia come i frammenti di una stella cadente per portarci al dolce e rassicurante finale.

L’albero della luna, di Andrea Bagnolo (1978) è un brano originale per banda del 2017, dedicato all’allora Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette. La musica trae ispirazione da una storia singolare: durante la missione Apollo 14 del 1971 l’astronauta Stuart Roosa portò con sé sulla Luna dei semi di alberi, come parte di un esperimento congiunto tra la NASA e il Servizio Forestale degli Stati Uniti. Al ritorno sulla Terra quei semi furono piantati e diedero vita agli “alberi della Luna”, simbolo di esplorazione e di vita che supera i confini terrestri. L’autore, attraverso la sua musica, ha voluto rendere omaggio a questa straordinaria impresa umana e al suo legame con la natura.

Star Trek Suite è un adattamento orchestrale del 2009 dalla colonna sonora dell’omonima serie di fantascienza, creata dal genio visionario di Gene Roddenberry. Arrangiata da Jay Bocook per banda sinfonica, la suite riprende i tre temi principali della saga, firmati dai maggiori compositori della serie. I primi due, Enterprising Young Men e End Credits, sono tratti dalla colonna sonora di Michael Giacchino (1967) per il film “Star Trek” del 2009. Il terzo, To Boldly Go, riprende l’iconico tema originale degli anni ’60 di Alexander Courage e Gene Roddenberry.  Courage era stato assunto da Gene Roddenberry per scrivere la colonna sonora della saga su suggerimento di Jerry Goldsmith, dopo che quest’ultimo aveva rifiutato il lavoro. Rispettando le istruzioni di Roddenberry di non comporre con l’elettronica, Courage era riuscito a unire fiati, organo elettrico, una voce soprano senza parole e bonghi, consegnando così la composizione ai posteri. Alla successiva rottura dei rapporti tra Courage e Roddenberry è legata una controversia di natura legale sui diritti d’autore. Nel 1965, quando Courage ebbe composto il celebre tema della serie originale, Roddenberry scrisse un testo per quel tema – parole senza senso mai usate nella serie – all’unico scopo di rivendicare legalmente metà dei diritti d’autore in qualità di co-autore, cosa che la legge americana sul copyright consentiva. Per reazione Courage non concesse più il riutilizzo del suo tema, ragion per cui si dovette comporre nuova musica.

Classico intramontabile del jazz e pop standard tra i più celebri nello scenario statunitense del XX secolo, Star Dust è una ballata romantica dal sapore malinconico, composta nel 1927 da Hoagy Carmichael in versione strumentale per pianoforte. Nel 1929 il paroliere Mitchell Parish, entusiasta dopo aver ascoltato il brano nell’esecuzione di Isham Jones, volle aggiungervi le parole. Per la sua diffusione planetaria (la canzone fu tradotta in 30 lingue) e per il numero esorbitante di incisioni discografiche di cui fu oggetto, Star Dust entrò presto nel Great American Songbook. Secondo le fonti di Wikipedia il titolo Polvere di Stelle si riferirebbe in realtà alla cocaina, molto disponibile negli ambienti musicali americani prima della Grande Crisi. Figlio d’arte – sua madre suonava ragtime in accompagnamento ai film muti – Carmichael ottenne una laurea honoris causa in musica proprio nella stessa Università dell’Indiana dove si era laureato in Legge.

Nel 1961 una giovanissima e deliziosa Audrey Hepburn interpretava per la prima volta Moon River in “Colazione da Tiffany”. Il film fu un enorme successo al botteghino e buona parte del merito andò al compositore hollywoodiano Henry Mancini, autore della colonna sonora e della canzone stessa che adattò all’estensione vocale dell’attrice su testo di Johnny Mercer. Pioniere di stili nuovi, Mancini sperimentò un uso magistrale del jazz e degli idiomi popolari che seppe adattare anche alle commedie romantiche sofisticate. Moon River ebbe una tale risonanza che nel 1962 fu premiata con l’Oscar per la migliore canzone originale. Nel testo Mercer sembra evocare la propria infanzia a Savannah, in Georgia, quando d’estate raccoglieva i mirtilli. Al loro colore azzurro, riflesso sull’acqua, si ispirava infatti il titolo originale, Blue River, pensato dall’autore.

Le ultime due canzoni in programma sono entrambe proposte nell’arrangiamento di Andrea Bagnolo. Tra le molte versioni di Fly to the moon – celebre standard jazz dal titolo originale In other words, composto da Bart Howard nel 1954 – quella di Sinatra è stata inclusa nella playlist per i voli spaziali e pare sia stata ascoltata proprio sulla luna. Sempre al romantico satellite è dedicato Moon Dance, ultimo brano in concerto e secondo capolavoro del cantautore irlandese Van Morrison, pubblicato dalla Warner Bros nel 1970 dopo il trionfo delle sue Astral Weeks.

Con Birdland di Joe Zawinul esplode la sinergia tra orchestra e voci di contralto e soprano nel bis finale.

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