Programma
Gregorianisti del Conservatorio «G. Verdi» di Como
Direttore Fausto Fenice
Ave Maria, antifona
Puer natus, antifona d’ingresso per la Messa del giorno di Natale
Hodie Christus natus est, antifona al Magnificat dei Vespri di Natale
Verbum caro factum est, melodia del XIX secolo
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Coro Concentus Vocum del Conservatorio «G. Verdi» di Como
Solisti: Kristina Bistriha, soprano; Roberta Riccardi, soprano; Angela Verallo, contralto; Francesco Albarelli, tenore; Mauro Canali, basso
Violini I: Ludovico Matteo Carangi; Daniele Rumi
Violini II: Lisa Paz Garrido; Marta Solarolo; Alessia Tocchetti
Violoncello: Camilla Rossi
Organo: Nicolò Gattoni
Direttore Michelangelo Gabbrielli
Francesco Durante, Messa in pastorale per coro a quattro voci, violini e basso continuo
Giovanni Paisiello, Pastorali iam concentu mottetto per soprano solo, coro a quattro voci e basso continuo
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Gregorio Bogni, organo
Johann Sebastian Bach, Preludio e fuga in Re Maggiore BWV 532
Matteo Saverio Grasso, organo
Improvvisazioni su melodie natalizie
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Adeste fideles, melodia tradizionale
Elaborazione per coro a quattro voci miste, violini, violoncello e organo di Lorenzo Taroni
Note di sala
A cura di Michelangelo Gabbrielli
Alla festività del Natale si lega da secoli un repertorio musicale molto variegato quanto a generi e stili compositivi, destinato a molteplici ambiti non solo liturgici. Si possono distinguere due filoni principali: uno costituito da musiche legate alla ritualità delle celebrazioni religiose vere e proprie – musiche per l’Ufficio e per la Messa – e musiche che, sia pure volte alla tematica religiosa della nascita di Gesù, e dunque rientranti nella sfera della musica sacra e della musica devozionale, sono in realtà più legate a un sentire popolare o popolareggiante rispetto a brani concepiti espressamente per le celebrazioni liturgiche.
Le musiche eseguite nel concerto odierno, tradizionale appuntamento annuale offerto dal Conservatorio «G. Verdi» di Como alla cittadinanza comasca, vuole fornire uno spaccato di questi due versanti.
I brani in canto gregoriano appartengono sia all’Ufficiatura che alla Messa del giorno di Natale; fa eccezione il brano Verbum caro factum est che, pur liturgico, non appartiene alla tradizione gregoriana classica. Si tratta di brani facenti parte di un repertorio, quello del canto gregoriano appunto, che per secoli è stato il canto della Chiesa; esso è costituito da generi e stili diversi ma tutti accomunati dall’essere Parola che diventa canto e spirito, liturgia e arte al tempo stesso. A ben guardare la storia della musica nel suo complesso, la radice prima di ogni altra espressione e forma musicale subentrate nel tempo è quella del canto gregoriano. Esso è infatti all’origine di tutta la cultura musicale occidentale. Al suo interno il canto gregoriano raggruppa generi e stili diversi – a seconda della specificità delle celebrazioni liturgiche, delle festività, della destinazione all’ufficiatura delle Ore o della Messa – ma tutti accomunati dall’essere Parola che diventa canto e spirito, liturgia e arte al tempo stesso. Si tratta quindi di un’espressione altissima che nel corso di molti secoli ha forgiato uno straordinario repertorio che è stato il pilastro liturgico-musicale e lo specchio di un pensiero teologico e filosofico durato fino al Concilio Vaticano II.
La Messa in Pastorale di Francesco Durante (1684-1755) unisce una chiara destinazione liturgica a un incedere e a un tipo di sonorità che si rifà al genere della pastorale, ossia a quel genere di musica strumentale che dal primo Seicento e per tutto il Settecento caratterizza musiche natalizie che evocano, proprio con sonorità, incontri armonici e ritmi caratteristici di chiaro intento onomatopeico i suoni delle zampogne dei pastori. Questo repertorio fu particolarmente coltivato in Italia, in particolare nell’Italia del sud dove, ancora oggi, si mantiene viva la tradizione degli zampognari che con i loro strumenti di tradizione pastorale e popolare suonano nelle strade e nelle piazze di paesi e città melodie semplici, orecchiabili, fatte di moduli brevi e ripetitivi di antica tradizione e tramandati perlopiù oralmente. Il termine «messa» non deve trarre in inganno: nel Settecento, sia nei paesi di confessione cattolica che in quelli di confessione protestante, il genere della messa musicale di norma contemplava l’intonazione delle prime due parti del rito della Messa, il Kyrie e il Gloria. La Messa in Pastorale di Durante non sfugge a questa consuetudine. In questo lavoro le immagini espresse dal testo liturgico, in genere motivo di procedimenti tecnici particolari da parte dei compositori, non sono sbalzate in primo piano: l’intenzione perseguita da Durante è piuttosto quella di rendere un clima, un’atmosfera, una espressione di gioia per il Dio fatto Uomo. Durante, prolifico autore di musica sacra – sicuramente egli costituisce per questo una vistosa eccezione nel panorama musicale italiano coevo improntato prevalentemente alla produzione lirica o/e strumentale – e sapiente compositore e didatta – dopo essere stato un allievo prediletto di Alessandro Scarlatti, fu poi maestro, fra gli altri, di Niccolò Jommelli, Giovanni Paisiello, Giovanni Battista Pergolesi e Tommaso Traetta e fu il successore di Nicola Porpora alla direzione del Conservatorio di S. Maria di Loreto a Napoli a partire dal 1725 fino al 1742 – rende al meglio il clima pastorale, appunto, popolaresco del Natale così come era del resto sentito nella cultura napoletana del tempo: si pensi alla straordinaria tradizione dei presepi napoletani, vere e proprie opere d’arte, che erano di fatto rappresentazioni teatrali – «teatro del mondo», si potrebbero definire – in cui risaltavano, non casualmente, personaggi e costumi della vita quotidiana napoletana, in un caleidoscopio umano di grande bellezza e suggestione. In questa composizione di Durante i violini incorniciano il coro e con esso si intersecano strettamente, mentre il continuo, affidato all’organo, sostiene strumenti e coro. Non inganni l’immediatezza dell’espressione, che se da un lato manifesta una genuina semplicità dall’altro fa emergere alcuni tratti caratteristici dell’arte di Durante: percorsi armonici netti, ben delineati, dialoghi interni fra i soli e il coro, brevi interludi strumentali, piani dinamici che alternano momenti in forte ad altri in piano, calibrati crescendo ed espressivi passaggi dissonanti – a tratti anche piuttosto prolungati – che mantengono il discorso in sospeso ed enfatizzano le successive risoluzioni. Si faccia caso come qua e là Durante inserisca delle delicate “stonature” inaspettate e pregnanti che rientrano anch’esse nella tradizione del genere della pastorale e che, ancora una volta, alludono a espressioni musicali popolaresche.
Alcuni degli stessi tratti osservati per Durante si riscontrano nel mottetto Pastorali iam concentu, di Giovanni Paisiello (1740-1816). Musicista cui si devono contributi fra i più significativi nell’ambito dell’opera in musica, particolarmente nel genere dell’opera buffa, Paisiello fu autore prolifico anche in altri ambiti, compreso, anche se in misura minore, in quello della musica sacra. In essa egli riversa spesso intenzioni e movenze proprie del linguaggio operistico, il genere che lo pose ben presto in un ruolo di primo piano nell’Europa del suo tempo, tanto da portarlo in Russia, alla corte della zarina Caterina, poi in Polonia, quindi a Vienna e a Parigi. Il mottetto Pastorali iam concentu risente di un tipo di linguaggio decisamente appartenente al genere prediletto da Paisiello, quello appunto operistico. Coro e soprano dialogano come se si trattasse di un coro di scena e di un personaggio di una delle sue opere. Anche la successione dei piani armonici e il passare da una tonalità all’altra avvengono secondo intenti sicuramente più attinenti alla caratterizzazione di personaggi e situazioni sceniche che a contenuti religiosi, sia pure extra liturgici come in questo caso. Eppure la delicatezza, la freschezza espressiva d’insieme ben evocano e anzi sembrano porre direttamente davanti agli occhi il corteo festoso dei pastori che con i loro strumenti e i loro suoni sono esortati ad andare ad adorare il Bambino.
La parte conclusiva del concerto è affidata a due giovani organisti. Il primo brano è il Preludio e fuga in Re Maggiore BWV 532 di Johann Sebastian Bach (1685-1750). Si tratta di uno dei brani organistici di Bach più famosi. In esso emerge in particolare l’irruente ma sempre magistralmente calibrata energia ritmica: è indubbio che in questo brano il ritmo sia l’elemento cardine attorno a cui viene intessuto lo scintillante e possente preludio e la ricca – a tratta virtuosistica – fuga. La luminosa espressività del brano è data anche dalla tonalità di Re Maggiore, tonalità che Bach generalmente sceglie per situazioni di gioia e di solenne celebrazione, sia nella sua produzione sacra che in quella profana (si pensi solamente, e proprio in riferimento al Natale, al ciclo delle cantate per il tempo di Natale raccolte sotto il nome di Weihnachtsoratorium, «Oratorio di Natale», appunto impiantato in Re Maggiore, ciclo che in parte è una parodia di cantate profane destinate ad eventi dinastici e quindi ad altrettanti momenti esprimenti solennità e gioia).
La formazione e la pratica organistica sono da sempre caratterizzati anche dall’arte dell’improvvisazione. Le melodie tradizionali natalizie offrono un terreno quanto mai fertile all’improvvisazione che se da un lato è di fatto pratica compositiva estemporanea, dall’altro è manifestazione delle proprie abilità esecutive e interpretative congiunte alla valorizzazione delle potenzialità foniche dello strumento sul quale si suona.
Termina il concerto il canto dell’Adeste fideles. Specificamente per questa occasione questa melodia tradizionale, oggetto nel tempo di innumerevoli elaborazioni, sempre uguale a sé stessa ma sempre nuova in virtù delle tante riletture, è stata elaborata dall’allievo del corso di Composizione Lorenzo Taroni. Questa nuova versione è affidata al coro a quattro voci miste, ai violini, al violoncello e all’organo. Gli strumenti operano in funzione di breve preludio e di interludio fra una coppia e l’altra di strofe, e si intersecano con il coro in un inno di lode che vuole essere un augurio di pace di luce e di gioia.